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(VIDEO) “Le Supplici di Eschilo”. La recensione e le interviste

Temi forti, attuali, quelli affrontati da “Le Supplici di Eschilo” in scena ieri al teatro greco di Siracusa. Una tragedia rivisitata dal regista Moni Ovadia che ha preferito riportare in chiave sicula la tradizione greca. Un racconto narrato con la classica tecnica, tutta siciliana, de “lu cuntu” con tanto di narratore in tipici abiti della tradizione folcloristica e l’orchestrina che ha suonato dal vivo con gli strumenti siciliani. Sicilianità e grecità si sono dunque mischiati in un connubio che ha spiazzato di certo il cultore della grecità classica e del teatro greco. Al dialetto siciliano è stato affiancato il neogreco e la grecità e sicilianità si sono fusi con le atmosfere tribali sottolineate dai costumi delle Danaidi e da alcuni passaggi delle colonne sonore.

Danaidi fuggite per mare per sfuggire da un matrimonio imposto: una trama che mette in scena il dramma, quanto mai attuale, dell’immigrazione e non solo, anche quello del femminismo e della condizione femminile della donna che oltrepassa i confini dei secoli e giunge fino ai giorni nostri. E quel grido di disperazione delle danaidi prese da una rete, esattamente come dei pesci, non è molto dissimile al grido di tante donne sottomesse agli uomini fino a non molto tempo fa e in molte parti del mondo ancora oggi. Una bravissima Donatella Finocchiaro alla guida delle donne in fuga e spettacolari scenografie hanno senz’altro reso importante la performance.

Una tragedia forte, toccante che, però, ai cultori del teatro greco non può che sembrare poco appropriata. Una tradizione greca forse perduta che si mischia ad una sicilianità recente che poco ha a che vedere con la tradizione classica e con la magia del teatro greco e di ciò che rappresentò per l’antica Grecia.

Ilaria Greco

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