(VIDEO)Medea di Seneca al Teatro Greco: la recensione
Passione, amore, ossessione, sete di vendetta, follia e pietà, compassione, terrore. I sentimenti si mescolano e si confondono ogni qual volta che un animo sensibile si accosti al mito della tragedia di Medea. Un mito a tratti controverso, più volte rivisitato e rimaneggiato ma che sempre riesce a trasmettere grandi emozioni. Una storia e una tematica, quella della donna abbandonata, che varcano i confini del tempo e dello spazio, e così, infatti, la tragedia che fu greca e che divenne latina, si è trasformata al teatro greco di Siracusa, in occasione del 51esimo festival dell’INDA, in una storia calata nel mondo moderno e raccontata alla maniera moderna, pur senza perdere il fascino dell’antico e senza perdere neanche un po’ di quel pathos che l’ha caratterizzata in tutta la storia letteraria. E poco importa che la Medea riemerga dalle tenebre volando in cielo sul suo carro alato, trionfante (com’è nella versione di Euripide) o che ritorni nelle tenebre morendo, in una miseria tutta umana (com’è nella versione di Seneca). Medea è e rimane sempre, a prescindere anche dagli abiti anni ’30 e dalle tecniche narrative moderne, una delle figure più controverse e di maggior fascino di tutti i tempi. Una donna i cui aspetti umani appaiono più spettacolari di quelli fantastici e in cui domina una vitalità che diventa complessa e violenta, e che di fatto domina la tragedia, domina il palcoscenico, domina il pubblico, zittito, senza voce, in riverente silenzio. Una donna dalla psicologia terribilmente complessa in grado di compiere gesti estremi pur di affermare il suo volere e la sua forza appassionata. Una donna che rinnega di essere donna, che si sente stretta nella morsa dell’odio e dell’amore, sentimenti opposti che coincidono, si mescolano, si confondono, e che accecano. E se a questa appassionata follia si aggiunge l’insolita bravura di una Valentina Banci assetata di teatro, le travolgenti musiche di Arturo Annecchino e l’impeccabile regia di Paolo Magelli, allora il risultato è straordinariamente riuscito nella sua pur illogica coesistenza di elementi nuovi e antichi, che si affiancano, che stonano, ma che stranamente piacciono.
Ilaria Greco
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