Le puntualizzazioni del dott. Scifo sugli errori dell’Asp
Dopo l’intervista di venerdi scorso su canale 8 dell’infettivologo Gaetano Scifo, le puntualizzazioni sugli errori dell’Asp.
IL PUGNO ALLO STOMACO DI “REPORT”
“E ora andiamo in Sicilia, a Siracusa, qui l’emergenza COVID-19 è stata una sequenza di errori”: quando lunedì 6 Aprile il giornalista Sigfrido Ranucci ha presentato il Caso Siracusa su Report con queste parole, semplici cittadini e tecnici, tutti abbiamo sentito di avere preso un pugno allo stomaco, violento e improvviso, cattivo e disvelatore.
Ognuno di noi ha cominciato ad interrogarsi, ad osservare più acutamente la realtà ed anch’io che per 40 anni ho operato nella sanità siracusana, mi sono sforzato di capire più a fondo che cosa possa essere successo per fare della gestione sanitaria COVID-19 a Siracusa un caso nazionale da additare ad esempio negativo.
Sovrintendenza e caso Rizzuto.
Non accennerò minimamente al caso Rizzuto e al caso Sovrintendenza, in quanto ritengo che trattandosi di questioni di massima gravità, la Procura debba essere lasciata libera di studiare, analizzare, raccogliere prove e testimonianze e tracciare delle conclusioni.
Voglio solo esprimere la massima solidarietà alla famiglia Rizzuto e ai dipendenti di una istituzione, la Sovrintendenza, che si sono sentiti lasciati soli e abbandonati in un momento difficile e grave.
Sarei ingeneroso, inoltre, se non dicessi, prima di ogni altra considerazione, del grande e appassionato impegno che tutti i colleghi medici, gli infermieri e il personale non sanitario stanno profondendo in questa emergenza, mentre assicurano una assistenza sanitaria difficile e complessa e mettono in pericolo persino la salute loro e quella dei familiari.
A tutti loro va e, in questo modo, credo di interpretare il sentire di una intera comunità, la solidarietà e il sostegno morale mio e di tutti i cittadini della provincia di Siracusa.
L’Ospedale, cluster delle infezioni
Il gruppo di matematici dell’Università di Palermo che studia i dati epidemiologici COVID-19 nazionali sostiene che la Sicilia abbia avuto, rispetto a tutte le altre regioni, i numeri più bassi e che l’epidemia nella nostra regione stia già manifestando una evidente e anticipata fase calante di infezioni. Nel quadro siciliano, Siracusa ha avuto ad oggi 150 infezioni ma è realistico pensare che le infezioni siano state circa 200 a causa della grave disfunzione del sistema di processazione dei tamponi che ha ritardato o impedito diverse diagnosi.
Mai sono stati superati i 50 ricoveri, la terapia intensiva non è stata mai sotto pressione e non è stato necessario attivare tutti i posti letto COVID-19 che più o meno fantasiosamente erano stati previsti nel Piano Aziendale.
Eppure a fronte di un carico non elevato di pazienti, il sistema è andato in crisi e l’Ospedale Umberto I di Siracusa è diventato una vera e propria zona rossa.
Infatti, se si mettono insieme le infezioni del personale sanitario e non sanitario, le infezioni secondarie dei familiari dei dipendenti, le infezioni acquisite in ospedale da pazienti ricoverati per altre patologie o le infezioni esportate in Residenze Sanitarie Assistite, dove sono stati inviati pazienti dimessi che non avevano eseguito il tampone (il caso più clamoroso è quello della RSA di Canicattini, dove un paziente dimesso dall’Umberto I ha causato un focolaio epidemico di dodici infezioni), la somma rappresenta la metà di tutti i casi di COVID-19 a Siracusa .
In pratica il P.O. Umberto I è diventato importante centro di trasmissione dell’infezione e fino ad ora, nonostante alcune recenti correzioni, non si riesce a migliorare la situazione perché non sono state individuate quelle catene di trasmissione sommersa dell’infezione connesse alla presenza di operatori sanitari che sono, verosimilmente, portatori di infezioni asintomatiche.
Questo si è rivelato l’errore più grave, quello capace di compromette l’efficienza e la operatività di tutta la catena assistenziale, generando paura e insicurezza tra i cittadini che disertano le strutture ospedaliere temendo di infettarsi.
Accesso e percorsi ospedalieri differenziati
Il secondo grave problema è assolutamente oggettivo, in quanto segnalato dalle relazioni e dagli interventi del Team di esperti regionali, intervenuti a correggere errori e mancanze dei piani procedurali.
I fatti dimostrano che è mancata un’operazione fondamentale raccomandata nelle linee guida dell’Infection Control: la separazione degli accessi in Pronto Soccorso e dei percorsi interni per i pazienti Covid e non Covid. Da ciò è derivata una promiscuità amplificatrice del rischio di contagio.
Perché non sono stati consultati e applicati i documenti stilati da WHO (Organizzazione Mondiale Sanità) e CDC (Centers for Disease Control and Prevention), autentici punti di riferimento operativo per tutti gli ospedali italiani?
Sono mancate cultura e prassi dell’Infection Control e questo pone pesanti interrogativi sulle reali competenze e conoscenze dei membri dell’Unità di Crisi che ha gestito l’emergenza.
Il Team specialistico inviato dall’assessorato ha imposto accessi e percorsi rigidamente disegnati, completamente diversi da quelli attuati in precedenza, ratificandone il pieno fallimento.
Il ritardo diagnostico
Un problema che ha avuto gravi conseguenze è quello della diagnosi virologica e della processazione dei tamponi. Qui il primo e più grave errore è stato commesso dall’assessorato della sanità siciliana che aveva disposto di indirizzare i tamponi solo ai due poli diagnostici di Catania (Policlinico) e Palermo (Policlinico).
Era però chiaro a tutti che questo sistema avesse le ore contate e sarebbe crollato sotto il peso del numero degli esami da eseguire e che si sarebbe andati verso la identificazione di laboratori virologici su base provinciale.
Il P.O. Umberto I, nel laboratorio della Unità Operativa Complessa di Immunoematologia, da lunghi anni ha a disposizione “know-how”, macchinari e personale specializzato nella diagnostica di biologia molecolare. Occorreva pensare già a febbraio ad attrezzare il laboratorio di biologia molecolare della UOC di Immunoematologia individuando procedure, percorsi e figure professionali e pensando a rifornirsi di kit diagnostici che sono stati cercati sul mercato troppo tardivamente, quando erano merce rara e ambita da troppe aziende e ospedali, sia in Italia che nel resto d’Europa.
Questo errore, avvenuto per scarsa conoscenza delle risorse del P.O. Umberto I e carenza di programmazione, ha prodotto un ritardo diagnostico da cui sono derivati gravi anomalie nell’assistenza ed abnorme espansione dell’area grigia di pazienti che afferivano in ospedale con sospetto di Covid-19, eseguivano il tampone e, invece di aspettare sei ore, erano costretti ad attendere anche una o due settimane.
Nell’attesa dei risultati del tampone questi pazienti venivano collocati in aree come il Pronto Soccorso, l’Osservazione Breve Intensiva e la Medicina di Urgenza, dove non venivano applicate in modo intensivo le norme dell’Infection Control (isolamento, uso dei dispositivi di protezione individuale, sanificazione ambientale che avrebbero dovute essere per i casi sospetti uguali a quelle messe in atto per i casi confermati). Di conseguenza si realizzavano catene di infezioni tra il personale sanitario che non solo hanno esposto a grave e insopportabile rischio la salute dei singoli operatori ed anche dei loro familiari ma hanno anche gravemente indebolito la consistenza degli organici degli operatori.
Mancanza di Dispositivi di protezione individuale (DPI)
Occorre ammettere che il deficit di DPI ha imperversato in tutto il Paese ma a Siracusa ha avuto maggiore gravità e si è associato anche a raccomandazioni cervellotiche e incomprensibili che venivano impartite dalle Direzioni Sanitarie e ad una assoluta mancanza di eventi di addestramento e di formazione del personale. Questo ha fatto sì che a Siracusa si raddoppiasse la percentuale tra gli infetti del personale sanitario (22 %) rispetto al dato nazionale (11%).
E i DPI non sono mancati solo al personale dell’Ospedale, area di emergenza compresa, ma anche al personale del 118, ai medici di Medicina Generale che hanno dovuto affrontare un duro contrasto con la Direzione Generale per rivendicare la fornitura dei dispostivi di protezione individuale.
Medici di Medicina Generale (MMG) e Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione
I MMG sono stati lasciati da soli e non hanno avuto indicazioni e protocolli assistenziali né la possibilità di poter trattare pazienti a domicilio, mentre in tutto il paese si andava diffondendo la convinzione che l’assistenza andava deospedalizzata e trasferita per buona parte sul territorio, come oggi appare chiaro dalle curve statistiche che dimostrano che i pazienti infetti per il 70% sono isolati e curati a domicilio e per il 30% ricoverati.
Condizionato nella sua attività da un processo diagnostico farraginoso e inefficiente, il Dipartimento di Prevenzione ed Epidemiologia è collassato e non è riuscito a interfacciarsi con i MMG per l’esecuzione dei tamponi ai soggetti sintomatici, per le corrette indagini epidemiologiche finalizzate alla definizione delle catene di trasmissione dell’infezione, per la esecuzione dei tamponi ai soggetti che venivano messi in quarantena. Per non dire dei tamponi dispersi oppure ripetuti anche tre o quattro volte e il cui risultato non è stato mai consegnato ai pazienti oppure della negazione del tampone a cittadini con sindrome respiratoria febbrile acuta che ne avrebbero avuto il diritto e della stessa procedura di esecuzione del tampone che non veniva praticata regolarmente al domicilio degli ammalati costringendo pazienti fortemente sintomatici e a rischio di trasmissione dell’infezione a recarsi in strutture dell’azienda per essere sottoposti al tampone .
Centralizzazione dell’assistenza ai pazienti COVID-19
È probabile che un Piano Aziendale centralizzato su un solo COVID Hospital, sul modello della Provincia di Ragusa che ha puntato solo su Modica, avrebbe evitato continuo trasporto e circolazione di pazienti, tamponi, presidi ed ambulanze, condizioni tutte che sono amplificatrici di infezione oltre che evidente spreco di tempo e risorse.
La centralizzazione avrebbe richiesto rigidissima applicazione delle regole dell’Infection Control e un piano di trasferimenti di Reparti meno impegnati nel corso di questa emergenza che, anziché essere realizzato oggi piuttosto tardivamente, avrebbe dovuto essere effettuato in una fase iniziale, in modo da dare spazio alle aree dedicate alla ospedalizzazione dei pazienti Covid.
Ed infine la struttura della Casa del Pellegrino, di proprietà del Comune di Siracusa, se attivata precocemente, avrebbe potuto ospitare il personale sanitario infetto e gli infetti asintomatici per isolarli dalle famiglie e impedire le infezioni secondarie. E, probabilmente, vi si sarebbe potuto trovare spazio anche per ospitare pazienti in fase di post-acuzie, in modo da tenerli vicini al Covid Hospital e a tutti i servizi che esso offre, a partire dalla diagnostica virologica
La comunicazione sanitaria
In ultimo non è possibile, in un’epoca in cui la comunicazione e la trasparenza sono invocate da tutte le organizzazioni dei consumatori e degli utenti dei servizi sanitari, che i massimi responsabili della gestione di una azienda sanitaria si presentino in una trasmissione di forte impatto come Report, al cospetto di milioni di spettatori, ivi compresi i cittadini della provincia di Siracusa in fervida attesa di rassicurazioni e incalzati da domande circostanziate, facciano scena completamente muta manifestando atteggiamenti omertosi ed arroganti.
I dirigenti sanitari non solo devono avere la capacità di comunicare, ma ne hanno anche l’obbligo. Hanno l’obbligo di rassicurare i cittadini del fatto che il management sta facendo tutti gli sforzi possibili per correggere eventuali errori, per migliorare il funzionamento della struttura incoraggiando il dialogo con l’utenza.
Dirigenti che non sanno comunicare e non sanno rivolgersi ai cittadini/utenti con atteggiamenti di umiltà e trasparenza, producono sfiducia nelle istituzioni sanitarie.
Infatti, all’indomani della trasmissione di Report sono state raccolte migliaia di firme di cittadini che chiedono il sollevamento dall’incarico del Direttore Generale da parte dell’assessore alla sanità avvocato Razza.
Queste le riflessioni che mi ha indotto a fare quel pugno allo stomaco improvviso e malandrino che ci ha scagliato Sigfrido Ranucci e che ci ha aiutato a capire la triste realtà sanitaria siracusana.
Fare meglio è possibile: la grande disponibilità all’impegno e al dovere del personale rappresenta sicuramente la base a partire dalla quale, attuando il piano definito dal Team di esperti regionali, applicando rigidamente le linee guida dell’Infection Control, assicurando l’approvvigionamento dei DPI e dei Kit diagnostici, ottimizzando il piano di assistenza ai pazienti, collaborando con istituzioni ed enti come la Protezione Civile, comunicando in modo semplice, diretto e trasparente con i cittadini, si può dare ai pazienti affetti da malattie COVID e non, un livello di assistenza dignitoso ed accettabile, rassicurando la popolazione che ha bisogno in questo momento di sapere che ha a disposizione una struttura sanitaria in grado di affrontare l’emergenza .
È di tutta evidenza, però, che dopo lo “tsunami COVID-19” tutto dovrà cambiare nella sanità siracusana. Occorrerà un profondo rinnovamento di uomini, di idee, di modi di agire e andrà avviato e rapidamente realizzato il percorso per la costruzione a Siracusa di un ospedale nuovo e funzionale. Perché l’emergenza COVID-19 non finirà presto ed altre emergenze potranno sopravvenire e noi ci dobbiamo fare trovare pronti.
Il nuovo ospedale non è il “sogno “che la comunità dei cittadini siracusani dovrà inseguire, ma un obiettivo concreto che i siracusani dovranno perseguire e imporre con iniziative continue, lotte e manifestazioni popolari a una classe dirigente che dovrà dimostrare di essere all’altezza della situazione.