Anche a Siracusa pestaggi in discoteca
Ritorniamo ancora una volta a parlare di violenza in discoteca. Perchè il problema riguarda non solo il regno della movida spagnola di Lloret de Mar, dove questa estate è stato pestato a morte un ragazzo, e non riguarda neppure solo le grosse discoteche italiane. Può succedere ovunque, anche nella civile e tutto sommato tranquilla Siracusa, che un buttafuori, per placare le “stravaganze” di un ragazzo voglioso di fare festa, si senta non solo in diritto ma addirittura in dovere di riempirlo di pugni e farlo tornare a casa con dieci giorni di prognosi riservata.
La questione è stata sollevata questa volta da “Progetto Siracusa” che, attraverso il portavoce Ezechia Paolo Reale, ha diffuso il comunicato che qui di seguito proponiamo integralmente.
“Succede a Siracusa, una notte qualunque, in un luogo qualunque, che il più forte, quello capace di alzare le mani in virtù di “un ordine” da mantenere, per cui è stato assunto e pagato, in una discoteca qualunque, decida che un ragazzo debba tornare a casa dopo aver ricevuto decine di pugni in faccia. Succede nella civilissima Siracusa in cui non si riconosce più dove sta il bene e dove sta il male, dove oramai il confine tra il legale e l’illegale è troppo sottile al punto da perdersi. Soprattutto, succede nelle notti di fine estate, quando un figlio rincasa con dieci giorni di prognosi riservata perché qualcuno, uno qualunque, ha deciso che quella sera sarebbe toccato a lui. E così, una serata qualunque si trasforma per una comitiva, sicuramente rumorosa ma non molesta, in un incubo.
Questo dunque diventa un appello che Progetto Siracusa intende fare a tutti i padri e a tutte le madri. Che città stiamo consegnando ai nostri figli, che cittadini siamo diventati? E, soprattutto, quale esempio stiamo dando se poi siamo persone incapaci di trattenere i nostri istinti al punto da riempire di pugni il volto di un giovane di ventuno anni che decide di andare a divertirsi con i suoi amici, pensando che può tornare a casa in quelle condizioni? Che città e cittadini siamo diventati se, facendo un giro per le nostre strade troviamo giovani e meno giovani che non indossano più il casco, come vuole la legge? E ancora, che uomini e donne stiamo diventando se il nostro passatempo preferito è sfogare i nostri istinti e le nostre sterili condanne sui social, a cui affidiamo rabbia e offese gratuite, in nome di una legalità o di una onestà il più delle volte senza volto e dignità?”